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Ci stiamo (auto)sabotando
La quarantena del (forse futuro ex) presidente degli Stati Uniti, il caro Trump, mi ha portato a visualizzare nitidamente come il nostro cervello funziona per associazioni. Ma come? Il Covid-19 qui non c’azzecca molto, ma andiamo per gradi.
Giovedì mattina, il telegiornale passava la notizia, io intanto stavo assonnatamente facendo colazione, con un occhio sulla tv, e l’altro sulla tazza di caffè, quando ecco che inquadrano l’untrice di questa storia, ebbene si, la giovane consigliera del presidente, gamba chilometrica e gonna attillata mentre scende la scaletta dell’Air Force One. Il mio pensiero automatico, di riflesso, quello che non controllo è stato:“Si, figurati se quella può fare la consigliera del presidente, sarà la solita messa lì per fare audience”. Eccomi qui, io, professatrice della parità di gender, che mi trovo a fare il più bieco dei ragionamenti, utilizzando lo stereotipo bella = scema.

Questa volta però, invece di lasciare questo automatismo nel suo incedere, mi sono fermata e ho realizzato che io, di lei, della bella Hope Hicks, non so un bel niente, e che prima di pensare che sia inadatta al ruolo che ricopre solo per la lunghezza delle sue gambe, forse avrei dovuto documentarmi.
Così ho fatto, e senza infamia, senza lode, la brava Hope ha probabilmente tutte le carte in regola per gestire il suo lavoro, dopo una laurea in lingue e una gavetta nelle pubbliche relazioni. Mi fermo qui, non ho le competenze per valutare il curriculum di qualcuno che lavora nelle PR, io che faccio tutt’altro di mestiere, quindi per me non c’è altro da dire, il mio cervello di riflesso mi ha proposto lo stereotipo.
Una volta lessi un libro di cui non ricordo nemmeno il titolo, era decisamente pesante e anche se breve, mi aveva richiesto un notevole impegno finirlo. Si trattava di un manuale con cui andare a ricodificare il nostro cervello (si, la teoria è sempre molto bella), e l’unica cosa che mi sono portata dietro è il concetto che noi viviamo la nostra vita con l’autopilota inserito, ovvero reagiamo e ci comportiamo in base a quello che abbiamo imparato, registrato, sedimentato, ma molto raramente pensiamo all’origine della nostra reazione.
Ecco, sicuramente gli stereotipi e i pregiudizi rientrano ampiamente in questa visione, dell’autopilota inserito, dell’automatismo a cui nemmeno diamo più importanza. Come se, dato che lo stiamo pensando, sia vero e inequivocabile.
Ammetto di non credere a molti approcci di miglioramento personale, mindfulness, meditazione, non perché non li conosca, ma semplicemente non penso che la ricerca del miglioramento continuo sia la soluzione, anzi, forse solo un’ennesima forma di stress. Uno può anche accettare la sua pancetta, la sua calvizie, e il suo carattere ruvido, senza per forza di cosa essere obbligato al miglioramento. Questo, però, in piena autocoscienza di sé.
Ed è qui che si dovrebbe lavorare, sulla propria autocoscienza, sul realizzare che molto spesso non agiamo/reagiamo secondo quello che veramente pensiamo o proviamo, ma per riflessi che si sono sedimentati nel tempo, come i pregiudizi e gli stereotipi, che in qualche modo ci fanno trarre conclusioni sbagliate, ci portano in errore e potrebbero costarci caro nel tempo.

Chissà in quante situazioni della vita, abbiamo perso un’occasione, per colpa di pregiudizi che non abbiamo nemmeno percepito. E quante, chissà, per colpa dei pregiudizi degli altri. Invece basta poco per chiedersi il perché delle cose, soprattutto del perché pensiamo una cosa. In effetti, è una domanda lecita, che dovremmo farci più spesso. “Perché? Perché mi sta antipatico il cassiere del supermercato? Perché reputo stupido un hobby che non conosco? Perché ritengo quella persona incapace di qualcosa solo dal suo abbigliamento?”
Io ho iniziato a chiedermelo, un po’ più spesso di prima, e le risposte sono le più disparate, ma quasi mai razionali e pensate, spesso sono frutto di riflessi e schemi mentali di cui io nemmeno sono a conoscenza.
Ad esempio, il cassiere del supermercato mi sta antipatico perché ha la stessa voce di un ex collega con cui non andavo d’accordo, quindi, il cassiere non dovrebbe starmi antipatico, perché lui a me non ha fatto proprio nulla.
Sradichiamo queste strutture contro producenti, e iniziamo a scoprire il perché delle cose.
Vi siete mai accorte che spesso siamo noi donne, in primis, a giudicare e sminuire le altre donne e la categoria in genere?
Provate anche voi a chiedervi il perché delle cose, e poi scriveteci quali stereotipi avete scoperto di utilizzare, senza saperlo. Insieme possiamo farci due risate e scardinare qualche vecchia credenza.